Gabriele Lami
Co-founder @ Elif Lab : www.eliflab.com
Quello di Zenone relativo al terzo paradosso sarà pure un paralogismo (ragionamento errato), ma la natura e l’informatica non si interessano di logica (anche se probabilmente si impicciano di logiche, dato che, pur senza filosofeggiarci, ne seguono molteplici oltre a quella classica).
Il terzo argomento di Zenone parla di una freccia. La freccia in oggetto appare in movimento ma, in realtà, sarebbe immobile perché (ferma) in una data posizione in ogni istante infinitesimo di tempo.
Il terzo è quello, appena menzionato, della freccia che, se pur scagliata sta ferma. Ma una siffatta conclusione dipende dall’assunzione che il tempo sia costituito da istanti: se non si concede questo il ragionamento non tiene.
[Aristotele, Fisica VI.9]
Quindi la freccia, in un certo senso, se la si osserva (la presenza di un osservatore ci sarà necessaria successivamente) appare immobile e quindi in quel momento lo è (ironizzando si potrebbe associare all’analogo paradosso dell’acqua che non bolle mai quando la si guarda).
La tesi, che non risulta empiricamente vera nella realtà abituale (se si è obiettivo di una freccia si può apprezzare in modo pungente l’inefficacia del ragionamento), può risultare almeno parzialmente vera nella realtà quantistica (non meno (o forse più) reale di quella che conosce la nostra coscienza) e, forse, anche in quella informatica.
Seguendo la tradizione moderna di usare in modo vagamente opportunistico temi filosofici classici, ci limiteremo a raccontare brevemente un aspetto del paradosso che emerge dal campo quantistico, tralasciando le motivazioni originali di Zenone relative alla difesa della tesi di Parmenide.
Sarebbe interessante approfondire le ripercussioni relative alla tesi “il tutto è Uno”, ma il veicolo non è quello adatto (e nemmeno le capacità di chi scrive).
Il paradosso di Zenone in meccanica quantistica è un ben noto effetto che emerge già nella meccanica quantistica classica. Se si accetta il formalismo della meccanica quantistica classica, si può derivare logico/matematicamente, a partire dagli assiomi della teoria, il fatto che l’osservare un dato oggetto quantistico lo congela nel tempo.
Anche se il formalismo non è la realtà (ed è sempre difficile vedere le libertà che si prende un modello formale riguardo ad arbitrarie generalizzazioni) i dati sperimentali in questo caso sono clementi e sembrano confermare la sensatezza della predizione di questo congelamento.
Facendo un po’ di passi indietro, per illustrare questo tipo di fenomeno è necessario fissare dei punti di base del nostro discorso che verranno accettati come veri (in modo tale da evitare di richiedere un corso di meccanica quantistica all’indaffarato lettore).
La dinamica degli oggetti quantistici (ad esempio una “particella elementare”) è differente da quelli classici (classici = oggetti rappresentati dalla meccanica classica come una pallina da tennis o un elefante).
Secondo la meccanica quantistica tutto ciò che rappresenta un oggetto quantistico è contenuto in una funzione che si chiama funzione d’onda o psi.
Un oggetto classico ha delle proprietà, come ad esempio una posizione nello spazio tridimensionale. Nel caso di un oggetto quantistico la proprietà posizione (e in generale le altre proprietà classiche che hanno significato) esistono nel senso classico solo quando sono osservate.
In meccanica quantistica quindi ha ruolo centrale il concetto di osservazione (e qui si affaccia Zenone, per come lo abbiamo introdotto).
Nel caso classico, la posizione di una pallina da tennis ad esempio può variare. Esiste una dinamica e la dinamica fa evolvere nel tempo le qualità dell’oggetto.
In meccanica classica esiste quindi una legge di evoluzione temporale (che deriva direttamente da Newton) che descrive questa dinamica.
In meccanica quantistica quello che evolve è quello che definisce un oggetto quantistico, cioè l’equazione d’onda.
Indipendentemente dall’interpretazione della quantomeccanica (c’è un ampio spettro dato dal fatto che sia così aliena rispetto al mondo che si sperimenta in modo “diretto”), la misurazione è una sorta di trauma per psi (o per la conoscenza). Formalmente l’effetto di una misura è rappresentabile con un oggetto matematico che ha un implicito sapore atemporale.
Se si accetta quindi la formalizzazione, si accetta che, durante la misurazione, l’evoluzione temporale di psi cessi di agire.
Ancora peggio, se si ripete la stessa misura in modo serrato (importante che sia la stessa perché la quantomeccanica è schizzinosa rispetto alla compatibilità tra misure), si ottiene che, nella prima misurazione l’oggetto si dispone su un dato valore e nei successivi l’oggetto quantistico viene riposizionato (resettato nello stesso valore) con una probabilità che tende a 1, se tende a zero l’intervallo temporale tra le misure.
La misurazione serrata quindi rallenta e, al limite, blocca il tempo di psi (o l’evoluzione nel tempo di psi).
Questo dal punto di vista teorico.
Dal punto di vista sperimentale, ci sono diversi se e diversi ma, se si vuole esperire questo fenomeno realmente. Il problema più grande è che non risulta così facile ripetere una misura sullo stesso oggetto in meccanica quantistica. È relativamente facile pensare a misure distruttive piuttosto che non distruttive. Ad esempio, è facile misurare la presenza di una particella facendola scontrare con uno schermo. Lo schermo rivela all’occhio umano la presenza della particella utilizzando l’energia di quest’ultima per cambiare colore nella zona dell’impatto. Si capisce che la particella è stata in quel luogo, ma a costo della sua trasformazione in qualcos’altro (trasformazione è un termine gentile che sostituisce distruzione).
Sul fronte concettuale poi, il dimostrare empiricamente il fenomeno dal punto di vista delle misure ripetibili lo rende solo teoricamente verosimile per quelle non ripetibili ma mai confermabile (per ovvie ragioni).
Altro problema è che ci sono limiti pratici dal punto di vista tecnico ed energetico nel ridurre la distanza tra misurazioni.
Nonostante ciò, ad esempio già il classico esperimento discusso in questo articolo mostra quanto il tarlo di Zenone fosse importante.
Il problema poi si potrebbe estendere (ma abitualmente non si fa) all’osservatore. Ci si può chiedere cioè se il povero osservatore abbia sempre a che fare con la coscienza umana o sia un mero punto di osservazione posizionato nello spazio-tempo come vorrebbe la fisica.
Il paradosso di Zenone in informatica. Se la meccanica quantistica è stramba, la CPU di un computer non è da meno, per chi non ne conosce le logiche ma ci interagisce attraverso una tastiera e uno schermo.
La CPU fa i calcoli. Dire che fa i calcoli è corretto ma è riduttivo. La CPU opera su input in formato binario ed emette output in formato binario. Esegue calcoli sui dati che le vengono richiesti e lo fa anche su dati che “pensa” le verranno richiesti, in modo tale da essere più rapida.
Il flusso di dati binari che vivono nella CPU e che transitano per i vari bus (i percorsi dei dati a cui si agganciano le varie parti di un calcolatore) è una sorta di analogo di psi.
Questi dati hanno un presente e una loro evoluzione temporale.
L’osservatore – anche in questo caso – viene ad interrompere questo flusso temporale nella CPU.
Se si esegue un programma che deve effettuare 1000 cicli e per ogni ciclo deve eseguire una funzione, il flusso temporale è definito dalla logica e dal modo di procedere della CPU (è come se il programma fosse l’insieme delle forze che agiscono sul flusso di dati e la CPU fosse ciò che esegue F=ma, prendendosi cioè carico di fare evolvere il sistema nel tempo con una regola ben precisa).
Dove entra l’osservatore? Nel caso di 1000 cicli di calcolo, le parti del calcolatore e della memoria attivate sono (almeno a livello teorico) solo quelle che servono per raggiungere l’obiettivo. Un problema però è che l’osservatore esterno non ha possibilità di vedere cosa stia succedendo in itinere.
Se c’è un errore a metà del calcolo lo si scopre alla fine.
Per rendere più trasparente all’osservatore il processo, anche in questo caso, l’osservatore può inserire delle misurazioni. La misurazione che vogliamo prendere in considerazione è lo statement Print.
Lo statement print (in un caso semplice) blocca l’esecuzione del programma. In diversi casi il costo dell’operazione print iterata può essere superiore a quello di calcolo.
Quindi, anche in questo caso, paradossalmente ma non troppo, se l’osservatore vuole sbirciare e quindi conoscere, interferisce con il normale flusso temporale. Sarebbe meglio affermare che interferisce con l’evoluzione della dinamica temporale che viene utilizzata come un rappresentante dello scorrere del tempo da parte della coscienza.
Nihil sub sole novum si dice nell’Ecclesiaste, cioè: nulla di nuovo sotto il sole. Ogni teoria, ogni settore e ogni modello ha elementi che spera siano esclusivi. Molte di queste caratteristiche forse sono però da attribuire al comun denominatore che è la mente umana. La coscienza, per gestire dei concetti, è condannata a scomporli nei pochi oggetti e strumenti che le sono propri.